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La rappresentazione della povertà

La fotografia: Giappone e Cina in posa
a cura di Elisa Vecchione​
ANONIMO PORTANTINA CINESE, [Cina, 1864] Albumina, formato carte de visite Trieste, Civici Musei di Storia ed Arte, Fototeca, inv. 14895

Le ripercussioni sociali che ebbe la politica imperialista, attuata dagli Europei nella Cina dell’Ottocento, videro la nascita di un fenomeno, tristemente noto, legato allo sfruttamento della manodopera locale dei coolies.

Con tale termine, desunto molto probabilmente dalla parola indiana kuli, che indicava una tribù nativa di Gujerat nell’India occidentale, venivano identificati i lavoratori non qualificati; che provenivano dai villaggi periferici e che venivano impiegati, a basso costo, nelle città in vari settori: nell’edilizia, nelle piantagioni, nei porti, nelle miniere e come trasportatori di risciò.
Essi, che rappresentavano gran parte della forza lavoro per la Cina sin dagli anni ’20 dell’Ottocento lo divennero anche per l’Europa e l’America a partire dagli anni ’40 dello stesso secolo. Il loro commercio si estese, infatti, al di fuori del paese dopo la Prima Guerra dell’Oppio, quando la Cina fu costretta ad aprire diversi porti all’Occidente.
Un ulteriore fattore, che spinse molti paesi occidentali a cercare fonti alternative di lavoro, fu l’abolizione del commercio degli schiavi provenienti dall’Africa. Il commercio dei coolies iniziò nei territori più poveri della Cina del sud, prima a Xiamen (Amoy) per poi diffondersi anche in altre città tra cui Hong Kong, Macao, Shantou (Swatow), Guangzhou (Canton), e Shanghai.
Le società segrete cinesi monopolizzavano questi traffici assieme alle associazioni dei clan locali che ne controllavano e regolamentavano l’emigrazione dalla Cina. Esse contribuivano anche a sostenere i lavoratori finanziariamente in caso di malattia, tutelando in parte la loro
sussistenza. Gli stranieri interessati a questi traffici, si sentirono minacciati dal ruolo di queste società tanto che nel 1890 le resero illegali.
Venne istituito un protettorato cinese ufficiale per la gestione delle procedure legate all’emigrazione e delle associazioni di volontariato per la tutela dei migranti. I paesi che facevano uso di questo tipo di manodopera erano: Gran Bretagna, Stati Uniti, Spagna, Italia, Francia e Portogallo. Le Colonie britanniche in America Latina, Brasile, Panama, Cile e Ecuador erano ulteriori mete di destinazione; Cuba e Perù i maggiori importatori.
Questi traffici avvenivano, nella maggior parte dei casi, senza il consenso degli interessati. Molti venivano ingannati o rapiti e successivamente imbarcati su navi per destinazioni ignote; così come accadeva da secoli per gli schiavi africani.
Viaggiavano in uno stato al limite della sopravvivenza e la mortalità rappresentava un evento molto frequente. Giunti poi a destinazione venivano venduti come animali: animali da soma.
[..] “Un uomo snello e muscoloso che si guadagna da vivere facendo il cavallo”, si legge sul verso di una fotografia stereoscopica, ripresa in Giappone nello stesso periodo e raffigurante dei trasportatori di risciò (F190902), per esprimere lo sforzo fisico cui queste persone erano quotidianamente sottoposte.
Lavoravano, infatti, in condizioni disumane e venivano assoldate per periodi che duravano dai 5 agli 8 anni. Non tutti riuscivano a sopravvivere fino al termine di questo tempo.

Per opporsi a questo sfortunato destino molti di loro si ribellavano sin dalla partenza, o sulle navi, o nelle terre di destinazione.
D’altro canto l’adesione volontaria, di quelli che non furonocostretti ad imbarcarsi con la forza, era spesso dettata dagli effetti di carestie, di guerre, o di carenza di terra da coltivare in patria. Soprattutto nelle zone più povere della Cina la maggior parte scelse di partire con la
speranza di migliorare le proprie condizioni di vita.
Quelli che riuscivano a sopravvivere, al termine del periodo lavorativo, diventavano uomini liberi riscattando così la propria condizione sociale.
Il governo cinese, dal canto suo, anche se non riuscì ad offrire loro un’alternativa più umana, si rivelò solidale cercando di regolamentare o di frenare questi traffici umani. Istituì degli organi di controllo e degli ispettori venivano inviati nei paesi stranieri per verificarne le condizioni di vita di questi migranti. Nel 1874 il loro commercio venne definitivamente abolito.
La fotografia : Portantina cinese (F14895) Questa albumina, formato carte de visite e priva del supporto cartonato, ritrae un gruppo di portantini all’angolo di una via.
L’inquadratura, dall’alto verso il basso, pone il punto di ripresa al piano superiore di un edificio, molto probabilmente lo studio del fotografo autore, anonimo, dello scatto.
E’ un’immagine interessante da un punto di vista stilistico perché ritrae un gruppo di persone in sosta durante il lavoro.
Pur essendo apparentemente in posa, un elemento ci informa sulla totale naturalezza di questa scena: il soggetto ritratto all’interno delle aste del risciò è lievemente sfuocato. La sua non totale immobilità fa supporre che il fotografo abbia immortalato questi soggetti senza la loro consapevolezza d’essere ritratti.
Possiamo supporre che questa sia un’immagine rubata.
E’ anche possibile che la scena sia stata creata ad hoc per conferire alla composizione un apparente realismo e per comunicare un’evidente spontaneità.
I soggetti, in ogni caso, non sono quelli che abitualmente venivano ritratti negli atelier fotografici, ma dei lavoratori, dei portatori di risciò, dei coolies, appunto.
I loro abiti sono umili e ai piedi non indossano calzature. Questi elementi informano l’osservatore sul loro stato sociale, sulla loro vita, sul loro impiego in lavori pesanti. Vengono così immortalate le condizioni di vita delle classi più disagiate della Cina dell’epoca.

La fotografia verso la fine del XIX secolo, contribuì, attraverso questo tipo di immagini, a legittimare lo sfruttamento, anche all’estero, di questi uomini, entrati nell’immaginario collettivo come animali da soma, per essere impiegati nelle attività più umili e faticose, che gli occidentali si rifiutavano di fare.

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